Ricordi di donna

“Non sperare serenità nella vita, se avrai contristato tua madre. Tu sarai pentito, le domanderai perdono, venererai la sua memoria, inutilmente! La coscienza non ti darà pace; quella immagine dolce e buona avrà sempre per te un’espressione di rimprovero che ti metterà l’animo alla tortura. L’amor di madre è il più sano degli affetti umani: disgraziato chi lo calpesta! Mille volte, quando già sarai uomo forte, provato a tutte le lotte, tu la invocherai, oppresso da un desiderio immenso di risentire un momento la sua voce, di rivedere le sua braccia aperte per gettarviti singhiozzando come un povero fanciullo senza protezione e senza conforto […]”. L’ 8 agosto del 1901, alle 8 e 30 del mattino, un anonimo presidente di commissione procedeva alla dettatura di questo “passo” di De Amicis agli alunni di una V classe elementare di Montalcino, chiamati al dovere degli esami di proscioglimento. Il brano è tratto da alcuni documenti che ho avuto modo di consultare curiosando tra il materiale che la commissione organizzatrice ha raccolto con grande alacrità per l’occasione e che mi sembra si addica molto per introdurre il tema al quale il Quartiere Travaglio ha deciso di dedicare una mostra e questa piccola pubblicazione. Continuando a leggere ho avuto modo di immergermi per qualche istante nel clima educativo dell’epoca, dove dettati e temi parlavano delle virtù dell’obbedienza, del lavoro, del risparmio, della saggezza degli anziani, di patria, di soldati alla guerra, di bandiera nazionale, che solo a vederla faceva “palpitare più forte il cuore e dimenticare ogni fatica”. Se alcuni di questi temi, infatti, hanno il sapore del tempo perduto, riflettono mentalità che appartengono ad un passato ormai troppo lontano da noi, quello della madre e del rispetto filiale si può dire che conservi intatto il suo valore, perché è eterno e universale e supera la caducità del tempo. Queste pagine, che costituiscono un corollario alla mostra organizzata nelle strade del Quartiere, vogliono avere proprio questo significato: collegare idealmente ciò che è irrimediabilmente perduto con quanto rimane profondamente vivo e si muove ancora tra noi. Ciò che però più importa sottolineare, è che questa volta ad essere protagoniste sono le donne, le donne di Santa Margherita, le nostre donne. Mi affido quindi volentieri — e invito anche Voi a farlo — ai ricordi suscitati da queste pagine, a “voci” ed a “volti” che sono il nostro passato, in qualche caso il nostro presente e senza i quali noi stessi oggi non saremmo qui. Al proposito, prendo a prestito quanto scrive Lucia Carle, studiosa accreditata, amica di Montalcino e dei Quartieri e che gentilmente ci ha concesso un bellissimo saggio dei suoi lunghi studi sulla nostra “patria locale”, dove le donne, scrive, “hanno spesso giocato un ruolo insostituibile di continuità”. Non potrei chiudere questo mio breve intervento senza rivolgere un ringraziamento sentito alla commissione organizzatrice della mostra e, in particolare, a Giuliana Strada, responsabile del gruppo donne, ed a quante vi hanno partecipato con la solita passione e determinazione. Attraverso loro, ringrazio idealmente tutte le donne del Quartiere Travaglio, quelle di ieri, quelle di oggi e quelle di domani, alle giovani e giovanissime Travagline, alle quali vanno i miei pensieri più affettuosi.

IL PERCHE DI UNA MOSTRA

Tagliata fuori per secoli da qualsiasi possibilità di esprimersi pubblicamente, la donna si è consumata in un lavoro misconosciuto, ignorato da tutti. Rinchiusa in un ruolo di muta dedizione, tenuta in un rapporto di subordinazione e sottomissione sociale, economica, affettiva e culturale, solo dalla seconda metà dell’Ottocento, tra mille difficoltà, ella intraprende la strada per il riconoscimento della parità dei diritti e delle opportunità con l’uomo. Con la nascita della fabbrica, infatti, la donna esce di casa per essere utilizzata come operaia nelle industrie manifatturiere, nelle filande, negli opifici; il quadro della sua posizione tradizionale viene così ad essere alterato e comincia a farsi largo il principio del suo diritto al lavoro. Il prezzo che la donna paga per il riscatto da una posizione di subordinazione è pesante: fatica disumana, basse retribuzioni, condizioni igieniche spaventose, malattie. E’ però attraverso il suo sfruttamento che la donna acquista coscienza del suo diritto ad essere trattata come persona autonoma e non come figura accessoria dell’uomo. Dopo secoli bui ha così inizio quel lungo, profondo processo di trasformazione ed evoluzione (peraltro non ancora concluso), di cui “l’altra metà del cielo” diventa soggetto ogni giorno più consapevole e risoluto. Liberandosi di quell’immagine che la dipinge come “angelicata”, oppure come oggetto di protezione o di desiderio, ma mai come essere responsabile dotato di una propria volontà e di un preciso carattere, la donna compare con sempre maggiore frequenza sulla scena pubblica ed in essa porta quell’amore granitico e quel senso di responsabilità che esercita prima di tutto in famiglia. Nel cammino per l’emancipazione, la famiglia rimane un punto fermo nella vita della donna, il suo valore più importante ed ella, pur rifiutando il ruolo di “angelo del focolare” e di “regina della casa”, assegnatole da un copione millenario, non rinuncia alla gestione di questo prezioso nucleo anche a costo di notevoli sacrifici; chiede unicamente al suo compagno di non lasciarla sola in questa “avventura”. Il viaggio della memoria che questo nostro lavoro intraprende, conduce proprio in quel mondo privato a cui la donna anche oggi, per libera scelta, tiene tanto. Nelle stanze, più o meno ricche, in cui si muove (dalla fine dell’ottocento, agli anni ’50) troviamo gli umili oggetti delle sue fatiche, quelli preziosi della sua bellezza, quelli affettuosi e teneri del suo essere moglie e madre.
E tutto è arrivato a noi grazie alla donna stessa, al suo saper custodire e conservare ciò che si è impregnato di lei e che con il passar del tempo ha assunto un valore affettivo inestimabile e poco importa quello materiale. Donne del Travaglio hanno bussato alle porte delle case di Santa Margherita e altre donne le hanno spalancate per mostrare piccoli tesori della loro famiglia. Gli oggetti hanno così preso vita; voci affettuose hanno ricordato madri, nonne, ave di cui si è perduto il nome, hanno rivissuto momenti lieti e periodi difficili con la stessa tenerezza e con la consapevolezza che il velo sul passato (facile o difficile che sia stato) ogni tanto vada sollevato, affinché le giovani generazioni, conoscendo la proprie origini, comprendano meglio se stesse, apprezzino il cammino fatto dai genitori e lo proseguano con rispetto, coscienza e partecipazione.